Recensioni
VIRGIN STEELE – The Passion of Dyonisus
Signore e Signori, ecco a Voi l’album della discordia. La nuova uscita dei Virgin Steele è già stata massacrata dalla maggior parte dei portali del settore, come il peggior capitolo della discografia di David DeFeis e soci, tanto da dichiarare ormai la band al capolinea. L’amore che mi lega agli americani e la passione per i capolavori della parte centrale della carriera, mi impediscono di sparare a zero su questo cd, ma invita ad un ascolto “diverso”, cercando di sviscerarne la recente fase compositiva ed il nuovo modo di intendere il concetto di canzone.
Badate bene, non intendiamo accusare altri recensori di aver affrontato superficialmente “The Passion of Dyonisus”, perché le stroncature sulla produzione del platter sono sacrosante. Ma superato lo scoglio di una resa sonora a dir poco amatoriale, se cerchiamo nelle lunghe song (10 brani per un totale di 80 minuti!) ci sono davvero passaggi ispirati, momenti di classe pura, teatrali ed emozionanti. Certo, la voce di DeFeis non è più quella dei bei tempi andati, ma già nell’opener “The Gethsemane Effect” si può comprendere come il leader e mastermind dei Virgin Steele, abbia composto l’album in modo che i pezzi fossero solo una piccola parte di un unicum, in cui la storia, i personaggi, le vicende vincono su tutto il resto.
Certo, non è una novità nella storia del metal, ma in questo caso, i pianoforti, le orchestrazioni, i cambi di tempo, le parti narrate, si susseguono una dopo l’altra, senza soluzione di continuità, quasi a lasciarci storditi. “The Passion of Dyonisus” è quindi un disco maledettamente difficile, non del tutto riuscito, ma fa parte del nuovo corso dei Virgin Steele, una band che non deve più rendere conto a nessuno, perché ha già dimostrato in passato tutta la propria classe e capacità di essere tra le più colte del panorama epic metal internazionale.
Il pianoforte è lo strumento dominante (come nella struggente “Unio Mystica“), i (rari, ahinoi) interventi metallici sono spesso doppiati dagli archi (“A Song of Possession“) per aumentare ulteriormente l’enfasi, mentre i ritmi sono spesso rallentati per conferire pathos alle vocals (e qualche mugolio di troppo) del leader del gruppo. Quindi il nuovo Virgin Steele va scoperto con calma, con la voglia di superare in primis una produzione imperfetta, per lasciarci travolgere a poco a poco dagli eventi narrati in musica, sfogliando il booklet come ai vecchi tempi o, perchè no, prendendo il proprio posto in poltrona a teatro.
Country: USA
Style: Epic Symphonic Metal
Label: Steamhammer
Top Song: Unio Mystica
Top Album: Invictus